Il linguaggio inclusivo
LINGUAGGIO INCLUSIVO
Hai mai sentito parlare di “ministra” o di “sindaca”? Ti è già capitato di leggere da qualche parte frasi come “buongiorno a tutt*”? Si tratta del cosiddetto linguaggio inclusivo. Se vuoi saperne di più leggi questo articolo!
COS’È IL LINGUAGGIO INCLUSIVO?
Per linguaggio inclusivo si intende un linguaggio che tratti nel modo più equo possibile tutti i generi: maschile, femminile e non binario (ovvero coloro che non si identificano in nessuno dei due generi). Il fatto che le donne siano state da sempre discriminate è chiaro a tutti e la loro rappresentazione attraverso il linguaggio è da molti anni motivo di dibattito in vari ambiti e in diversi paesi.
IL LINGUAGGIO INCLUSIVO NEL CONTESTO MULTILINGUISTICO
Innanzitutto, prima di addentrarci nelle caratteristiche e nell’uso del linguaggio inclusivo, è bene precisare che ogni lingua presenta una struttura diversa in merito all’utilizzo dei generi. Il Parlamento Europeo, operando in un contesto multilinguistico, ha individuato 3 categorie di lingue, ognuna delle quali richiede strategie diverse per ottenere la neutralità e l’inclusività di genere. Vediamole insieme!
Lingue caratterizzate dal genere neutrale (ad esempio l’inglese): sono lingue che hanno la tendenza a ridurre il più possibile l’uso di termini connotati per genere. Pertanto, la strategia più utilizzata è quella della neutralizzazione. Per evitare il problema legato al genere, è possibile usare termini neutri che facciano semplicemente riferimento alla “persona”, senza far trasparire il genere uomo-donna. Ne sono un esempio i termini inglesi chairman (presidente uomo) sostituito da chair (presidenza), policeman e policewoman (poliziotto uomo e poliziotto donna) sostituiti dal neutrale police officer (agente di polizia). In queste lingue solo i pronomi personali sono specifici per il genere, ma ultimamente si cerca di ovviare a questo problema utilizzando entrambe le forme affiancate (he or she per l’inglese).
Lingue caratterizzate dal genere grammaticale (ad esempio il tedesco, le lingue romanze e le lingue slave): sono lingue in cui ogni sostantivo ha un genere grammaticale e il genere dei pronomi personali concorda con quello del nome a cui si riferiscono. Questo tipo di struttura rende quasi impossibile la neutralizzazione lessicale, pertanto sono stati trovati degli escamotage, come l’affiancamento della duplice forma maschile e femminile (cittadini/cittadine) oppure la femminilizzazione che avviene soprattutto in ambito professionale (la cancelliera, la senatrice, la sindaca…).
Lingue prive di genere (ad esempio l’estone, il finlandese, l’ungherese): sono lingue totalmente prive di genere grammaticale. Pertanto, non sono necessarie particolari strategie per adottare un linguaggio inclusivo, salvo casi specifici.
Per un ulteriore approfondimento sulla neutralità di genere al Parlamento Europeo consiglio di leggere queste linee guida: https://www.europarl.europa.eu/cmsdata/187102/GNL_Guidelines_IT-original.pdf
I PROBLEMI DELL’INCLUSIVITÀ IN ITALIANO
Come abbiamo appena visto, l’italiano è una lingua flessiva che ha solo due generi: il maschile e il femminile. Proprio questa sua struttura grammaticale impedisce di parlare delle persone senza menzionare il genere.
Fin dai tempi antichi, l’esistenza di società patriarcali concedeva all’uomo il predominio sulla donna, causandone la discriminazione. Questa disparità si è trascinata fino ai giorni nostri, seppur in maniera più lieve. Ne è una dimostrazione il linguaggio stereotipato che spesso svilisce la figura femminile o che la mostra inferiore rispetto all’uomo. I due fenomeni linguistici legati a questo tema che hanno suscitato molti dibattiti sono l’uso del maschile sovraesteso e i nomi professionali.
Il maschile sovraesteso consiste nell’uso di sostantivi maschili per rivolgersi a una pluralità mista (uomini e donne) in cui sia presente almeno un uomo: “i politici italiani” per indicare uomini e donne che lavorano in politica oppure in frasi come “i ragazzi stanno arrivando” (include sia ragazzi che ragazze). Un altro tipo di maschile sovraesteso è la cosiddetta “servitù grammaticale”, cioè l’accordo al maschile in presenza di parole miste maschili e femminili: “mia sorella e mio fratello sono belli” (nonostante la frase comprenda il termine femminile sorella, l’aggettivo concorda al maschile per la presenza della parola fratello). L’ultimo tipo di maschile sovraesteso è l’uso di espressioni fisse al maschile che possono riferirsi, però, anche alle donne: “i diritti dell’uomo” che indicano i diritti umani (sia degli uomini che delle donne).
L’altra problematica che ostacola l’inclusività in italiano si riferisce ai nomi delle professioni e dei ruoli istituzionali ricoperti dalle donne (nomina agentis). L’assenza di un nome femminile per alcune professioni è dovuta al fatto che in passato certi ruoli non erano considerati adatti alle donne. È il caso, ad esempio, degli incarichi istituzionali o delle professioni di prestigio. Con il passare dei secoli la società si è evoluta e oggi le donne hanno il diritto di accedere a ogni tipo di incarico al pari degli uomini. Per questo motivo negli ultimi anni si è acceso il dibattito per permettere alle donne di avere un riconoscimento anche linguistico nella loro professione.
LA PROPOSTA DI UN ITALIANO INCLUSIVO
Dopo aver individuato le due principali problematiche dell’italiano per la creazione di un linguaggio inclusivo, possiamo esplorare le diverse proposte che sono state fatte nel corso degli anni per ovviare a questi ostacoli linguistici.
Nel caso del maschile sovraesteso, si è proposto di affiancarlo con la corrispettiva finale femminile (es. buongiorno a tutti/e) oppure sostituirlo con l’uso di caratteri o simboli neutri che permettono di rispettare l’identità di genere non solo maschile/femminile ma anche quella che non si riconosce nel sistema binario. Uno di questi simboli è l’asterisco (es. buongiorno a tutt*) oppure la chiocciola (es. buongiorno a tutt@). Un’altra proposta, molto quotata, è l’utilizzo dello schwa (o scevà), un simbolo dell’Alfabeto Fonetico Internazionale che si scrive come una piccola e rovesciata (ǝ) e che ha un suono vocalico neutro indistinto, già esistente in molti dialetti del sud Italia (/Nàpulə/). Proprio per questo suo suono non definito è stato annoverato tra le possibili soluzioni per rendere l’italiano una lingua inclusiva. La sua variante al plurale sarebbe lo schwa lungo rappresentato dal simbolo ɜ. Vediamo un esempio pratico con l’uso di questo sistema:
maestro/maestra maestrǝ
maestri/maestre maestrɜ
La difficoltà nell’utilizzo di questo sistema è l’assenza sulle tastiere italiane di cellulari o computer di questi due fonemi che si possono trovare solo sui simboli e i caratteri speciali. Quindi, scrivere un testo usando lo schwa e lo schwa lungo risulta complesso. Forse è per questo motivo che sui social o nei messaggi si tende a trovare molto più spesso l’asterisco a fine parola.
Per quanto riguarda la seconda problematica, ovvero l’assenza di nomi femminili per alcune professioni, l’unica soluzione al generico maschile è l’introduzione di corrispondenti femminili che possono risultare strani e insoliti al suono, dal momento che in passato non erano in uso perché non esistevano le persone che designano. Siamo abituati a dire la maestra, mentre ci suona strano dire la sindaca, perché fino a poco tempo fa questo era un lavoro prevalentemente maschile e il problema lessicale non si era mai posto. Attualmente, invece, vista la parità tra uomo e donna, si è reso necessario un adattamento linguistico affinché le donne non vengano nascoste dietro a un generico maschile. Ecco allora che troviamo, con il consenso dell’Accademia della Crusca, l’avvocata, la giudice, la consulente, la magistrata, la presidente, la sindaca, l’assessora, la procuratrice della Repubblica e così via.
IL LINGUAGGIO INCLUSIVO ALL’ESTERO
L’inclusività a livello linguistico è un problema di cui si stanno occupando molti paesi che, come l’Italia, propongono soluzioni alternative all’uso del genere.
Nella lingua inglese si sta affermando sempre di più i pronomi they e them come sostitutivi dei pronomi he/him (lui), she/her (lei).
In Svezia, allo stesso scopo, è stato introdotto il pronome neutro hen per coloro che non si identificano nel pronome maschile han né in quello femminile hon.
In Spagna si sta diffondendo molto l’uso della desinenza -e oppure della chiocciola (@) o della -x per evitare di indicare il genere. Ad esempio: todes (invece di todos o todas), nosotres (invece di nosotros o nosotras).
Dal punto di vista delle professioni, anche gli altri paesi adottano le loro strategie affinché la lingua si evolva. In Germania tale discussione è più vecchia e si vede dall’uso del termine femminile “cancelliera”: Il giorno della sua nomina, Angela Merkel ha fatto modificare la sua pagina web inserendo Bundeskanzlerin al posto del maschile Bundeskanzler. In francese, invece, sono stati creati degli ibridi curiosi, ad esempio Madame Le Ministre (Madame il Ministro), dove il titolo della carica viene lasciato invariato al maschile ma preceduto dal termine “signora, donna”.
GUIDA PRATICA ALL’ITALIANO INCLUSIVO
L’uso del linguaggio inclusivo è molto complesso perché richiede attenzione e strategie per aggirare il problema del genere. Per questo motivo nessuna guida potrà mai essere del tutto esaustiva, ma quella che ti propongo qui può essere utile per adattare la lingua a una sorta di genere il più possibile “neutro”: https://www.tdm-magazine.it/linguaggio-inclusivo-in-italiano-guida-pratica/
Spero che l’articolo sia stato di tuo gradimento e ti abbia fatto imparare cose nuove sul discorso dell’inclusività e sull’importanza delle parole anche nella vita quotidiana.
Autrice: Zahra Jarib
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