COME SCRIVERE IN ITALIANO CORRETTO
COME SCRIVERE IN ITALIANO CORRETTO
Quante volte ci siamo ritrovati a scrivere un testo o anche un semplice sms, bloccandoci di fronte al dubbio amletico di come si scriva una parola? Oggi siamo (s)fortunati perché tutti i mezzi tecnologici ci aiutano a non sbagliare l’ortografia e la grammatica, suggerendoci i termini o addirittura correggendole da soli. Tutto ciò è molto utile, ci fa risparmiare tempo e ci semplifica la vita, ma ci rende pigri e ci fa dimenticare molte delle regole imparate a scuola.
È vero che, come dicevano i latini, errare humanum est, ma se possiamo fare un piccolo sforzo per evitarlo, perché non provarci? Allora iniziamo subito a vedere quali sono gli errori di ortografia, di grammatica e di punteggiatura più diffusi e cerchiamo di correggerli per non sbagliarli più con l’aiuto dei 40 consigli di Umberto Eco (tratti da La bustina di Minerva).
L'ORTOGRAFIA
25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
Innanzitutto, è necessario sapere che in italiano esistono due tipi di accento: quello grave (ˋ) e quello acuto (ˊ). Uno dei casi più comuni d’incertezza è l’utilizzo del verbo essere alla terza persona singolare: si scrive è, é o e’? La risposta corretta è la prima, con l’accento grave. Allo stesso modo si accentano le vocali finali di tutti i giorni della settimana dal lunedì al venerdì e i verbi alla prima e alla terza persona singolare coniugati al futuro (mangerò, dormirò, mangerà, dormirà…). A tutto questo si aggiungono le parole che necessitano dell’accento per non essere confuse con altre, ad esempio:
dà (terza persona del verbo dare) per distinguerla dalla preposizione “da”
là (avverbio) per distinguerla dall’articolo determinativo femminile “la”
dì (= giorno) per distinguerla dalla preposizione “di”
sì (affermazione) per distinguerla dalla particella pronominale “si” (es. Si mangia)
tè (bevanda) per distinguerla dal pronome personale “te”
[…]
È importante precisare che l’accento non si usa nel verbo alla prima persona singolare do e nel verbo alla terza persona singolare fa perché potrebbero essere confusi solo con le rispettive note musicali ma il contesto permetterebbe di distinguerle in modo chiaro.
L’accento acuto si usa sulla e finale degli avverbi perché, purché, affinché, giacché, ecc. e in alcuni verbi alla terza persona singolare coniugati al passato remoto (batté e poté – verbi battere e potere). Inoltre, anche l’accento acuto si pone su alcune parole per evitare di confonderle con altre che presentano la stessa grafia:
né (negazione) per distinguerla da “ne” (particella, es. tu che ne dici?)
sé (pronome per riferirsi a se stessi) per distinguerla dalla particella ipotetica “se” (N.B: quando il “sé” pronome è seguito da stesso/a/i perde l’accento perché non può più essere confuso con altro se stesso/a/i)
26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
Questo consiglio di Umberto Eco ci ricorda la regola grammaticale per cui davanti a un sostantivo maschile l’articolo indeterminativo non deve essere apostrofato, mentre davanti ai nomi femminili sì.
Perché? Perché l’articolo indeterminativo femminile è “una” e, se posto davanti a un sostantivo che inizia per vocale, richiede l’elisione della a finale per evitare lo scontro tra vocali che risulterebbe sgradevole al suono (una isola – un’isola). Pertanto, scriveremo un amico e un’amica, qualcun altro e qualcun’altra, nessun altro e nessun’altra ecc.
L’apostrofo è uno degli errori più diffusi dell’italiano, ma il trucchetto per ricordare quando va messo è semplice: l’apostrofo rappresenta l’elisione o il troncamento di una parola. L’elisione è ciò che abbiamo visto poco fa con gli articoli indeterminativi. Il troncamento, invece, non dipende dall’incontro di due lettere, ma è la forma accorciata di alcune parole. Vediamo le più note (e le più sbagliate).
Un po’ è il troncamento di un poco, quindi è un errore gravissimo scriverlo con l’accento (un pò).
Se ci ponessimo le classiche domande “si scrive c’entra o centra? si scrive qual è o qual’è?”, molti di noi andrebbero in crisi. Risolviamo, una volta per tutte, questi terribili dubbi!
C’entra e centra esistono entrambi ma hanno un significato diverso: il primo è il troncamento di ci entra e significa “avere a che fare con qualcuno o qualcosa” (es. Che c’entra mio fratello in questa storia?); il secondo, invece, è la terza persona singolare del verbo centrare (es. Vai, centra il bersaglio!).
Qual è o qual’è? Che scelta dura! L’unica opzione corretta è la prima, non apostrofata. Si tratta di un’apocope, ovvero una forma di troncamento autonoma che non richiede MAI l’apostrofo (es. Qual buon vento!).
Ricordiamoci anche degli imperativi troncati che richiedono l’apostrofo:
da’ quel libro al tuo compagno (forma breve di dai – verbo dare)
fa’ come ti pare (forma breve di fai – verbo fare)
va’ piano (forma breve di vai – verbo andare)
di’, forza! (forma breve del verbo dire per incitare a parlare)
32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
In questo paragrafo ci soffermiamo solo su una questione ortografica che pone molti dubbi: e o ed?
La soluzione in questo caso è molto semplice. La congiunzione e, quando è seguita da un termine che inizia con la stessa vocale, richiede l’aggiunta della cosiddetta “D eufonica” (dal greco “bel suono”) per evitare lo scontro delle vocali. Vediamo qualche esempio:
Ed ecco che arriva l’aereo: sono felice ed entusiasta di andare ad Amsterdam.
Non so se ribellarmi od obbedire.
Come possiamo notare, la regola della D eufonica vale per tutte le vocali (in questo caso e, a, o) purché il termine che segue cominci con la stessa vocale. Infatti, non possiamo dire ed ancora perché le vocali sono differenti e la D non ha alcuna funzione. L’unica eccezione è rappresentata dall’espressione ad esempio in cui, nonostante le vocali siano differenti, si usa comunque la D eufonica.
Un'altra cosa a cui fare attenzione nell’ortografia sono le parole univerbate, cioè parole che nel corso del tempo hanno subìto una fusione con un’altra parola, diventando un tutt’uno (notare che anche tutt’uno si scrive con l’apostrofo per l’elisione della o finale di “tutto”). Questo tipo di parole spesso crea confusione nella grafia, generando dubbi sulla scrittura unita o staccata dei due termini. Facciamo un po’ di chiarezza!
Si scrivono unite: apposta, cosiddetto, sebbene, semmai, soprattutto, tuttavia, tuttora
Si scrivono staccate: a fianco, a volte, a posto, d’accordo, per cui
LA GRAMMATICA
Il plurale dei nomi composti
Abbiamo appena parlato delle parole univerbate e, per rimanere in tema, come prima cosa vediamo i nomi composti e il più grande dilemma che li riguarda: la formazione del plurale.
Arcobaleno, pescespada, passaporto, aspirapolvere, sono solo alcuni dei nomi composti di cui è ricca la lingua italiana. Sapreste dire ad occhi chiusi quali sono i loro rispettivi plurali? Se avete qualche dubbio, fra poco non ne avrete più!
I nomi formati da sostantivi dello stesso genere formano il plurale cambiando solo la desinenza finale: l’arcobaleno (l’arco + il baleno) gli arcobaleni
I nomi formati da sostantivi di genere diverso formano il plurale cambiando solo la desinenza del primo: il pescespada (il pesce + la spada) i pescispada
I nomi formati da un verbo + un sostantivo maschile singolare formano il plurale cambiando solo la desinenza finale: (passare + porto) i passaporti
I nomi formati da un verbo + un sostantivo femminile singolare restano uguali: l’aspirapolvere (aspirare + la polvere) gli aspirapolvere
Con questi trucchetti d’ora in poi sarà impossibile sbagliarli!
2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
Eccoci arrivati al punto dolente dell’italiano, il modo verbale più maltrattato di tutti. Non basterebbe un intero manuale a spiegarne la formazione e soprattutto i molteplici usi. Naturalmente qui mostreremo solo alcuni esempi tratti da dialoghi reali trovati principalmente sul web.
Iniziamo dagli usi scorretti del congiuntivo:
“Non trovate singolare che due persone che non si vedono da 10 anni risolvino una faccenda privata davanti alle telecamere?”
“Chiediamo che i bandi non si interrompino”.
“Non so perché i giornalisti scrivino…”
Questi sono tre chiari esempi di congiuntivi usati correttamente nel contesto, ma coniugati in modo sbagliato. Tutti e tre appartengono alla categoria di verbi con desinenza -ere (risolvere, interrompere, scrivere). Pertanto, la loro coniugazione al congiuntivo presente (in questi casi alla terza persona plurale) ha la terminazione in -ano (risolvano, interrompano, scrivano). Tali errori derivano dalla confusione con i verbi appartenenti alla categoria con desinenza -are (mangiare, saltare…). Questi ultimi, infatti, sono quelli che alla terza persona plurale terminano con -ino (mangino, saltino…). Infine, l’ultima categoria di verbi in italiano, ovvero quelli che terminano con la desinenza -ire (dormire, seguire…), al congiuntivo presente della terza persona plurale terminano nuovamente con -ano (dormano, seguano…), esattamente come i primi.
Altri orrori grammaticali del congiuntivo riguardano la coniugazione dei verbi essere e stare al passato: molto spesso, anche sui giornali o in tv, sentiamo dire “dassi, dasse, dassero” o “stassi, stasse, stassero” invece delle forme corrette “dessi, desse, dessero” e “stessi, stesse, stessero”.
Per non parlare poi della cosiddetta “morte del congiuntivo”, ossia la sua sparizione dalle frasi che lo richiedono, sostituito dall’indicativo o, peggio, dal condizionale:
“Agli animali manca solo la parola, mentre alcune persone sarebbe meglio che non ce l’avrebbero”.
“Non li avrebbero mai raggiunti se non ci sarebbero stati situazioni come queste”.
Nel secondo caso notare anche la mancata concordanza del verbo con il soggetto (sarebbero stati situazioni).
Concordanza del verbo con i nomi collettivi
Una delle regole che spesso passa più inosservata, ma che in realtà pone dei dubbi se ci si ferma a pensarci, è la concordanza del verbo con i nomi collettivi. Cosa sono? Sono quei termini che indicano un insieme di persone o di cose non ben definito: la folla, la gente, la maggior parte di… Pur indicando una pluralità, il verbo che li accompagna deve essere coniugato al singolare. Quindi diremo:
La folla acclamava i musicisti.
La gente resta a casa.
La maggior parte di questi edifici è stata costruita negli anni ’60.
PUNTEGGIATURA
19. Metti, le virgole, al posto giusto.
Le virgole sono uno dei segni di interpunzione che più di tutti genera confusione ma che è di fondamentale importanza nelle frasi. Infatti, a volte basta cambiarne la posizione per modificare il significato di ciò che si vuole dire. Ma partiamo dall’inizio: i casi più semplici in cui le virgole sono indispensabili sono gli elenchi e gli incisi. Fin qui è tutto chiaro. I problemi arrivano quando si parla di proposizioni relative, dove la presenza o l’assenza della virgola è essenziale per dare alla frase il giusto significato. Prendiamo un esempio:
Gli uomini che credevano in lui lo seguirono.
Gli uomini, che credevano in lui, lo seguirono.
Il significato della prima frase è che solo gli uomini che credevano in lui lo seguirono. Nella seconda frase, invece, l’inciso segnalato dalle due virgole ci fa capire che tutti gli uomini lo seguirono.
8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”
L’ultimo caso da evidenziare è l’uso delle virgolette. A volte, infatti, se ne fa un uso smodato e improprio. In italiano esistono le cosiddette caporali, virgolette basse (‹‹ ››) e le virgolette alte (“ ”). La loro funzione è differente.
Le prime aprono un discorso diretto oppure introducono delle citazioni:
Il cameriere disse: ‹‹posso portarvi qualcosa?››.
‹‹Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere››. (cit. Ghandi)
Le seconde, invece, servono a evidenziare l’uso particolare di una parola:
I “poveri” ministri hanno solo una villa al mare.
In questo caso la parola messa in risalto dà alla frase un senso ironico.
Siamo arrivati alla conclusione del nostro articolo che spero vi sia piaciuto. Avete visto che con poche regole possiamo evitare tutti gli errori senza l’aiuto del correttore automatico? D’altronde siamo noi che abbiamo “insegnato” alla tecnologia queste regole per poi dimenticarcele. Le conclusioni, si sa, diventano spesso lunghe e ripetitive, quindi chiuderemo l’articolo con il consiglio n. 24 di Umberto Eco.
Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe - o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento - affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
Le immagini sono state tratte dai seguenti siti:
https://sostegnobes.com/recupero-in-ortografia/
https://www.icbomportobastiglia.edu.it/olimpiadi-di-grammatica-classi-seconde/
https://www.scritturacreativa.org/punteggiatura/
Autrice: Zahra Jarib
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