Ops, ho preso un granchio! Faux amis e idiomatismi: lingue a confronto
Indice dei contenuti:
- Faux amis
- Idiomatismi
- Lingue a confronto
- Italiano, inglese, francese, tedesco e arabo
- Intraducibilità
Leggendo
il titolo di questo articolo, chi non è di madrelingua italiana probabilmente
ha immaginato una persona con un granchio appena pescato. Qui l’unica trappola,
invece, è la lingua che spesso ci tende dei tranelli. “Prendere un granchio”,
infatti, è un’espressione idiomatica italiana che indica un errore grossolano e
che deriva dall’ambito della pesca: quando all’amo abbocca un granchio, questo
inizia a dimenarsi per riuscire a liberarsi e il pescatore crede, quindi, di
aver preso un pesce di grosse dimensioni per poi restare, invece, deluso.
Da
questa breve introduzione forse avrete capito che ciò di cui voglio parlarvi
oggi riguarda proprio i numerosi trabocchetti in cui rischiamo di cadere quando
traduciamo da una lingua all’altra. Leggete bene ed eviterete anche voi di
prendere granchi!
Partiamo
dalle trappole della lingua per eccellenza, i cosiddetti faux amis o false
friends, detti anche in italiano falsi amici. Cosa sono?
Come
dice il termine stesso, i faux amis sono parole di una lingua straniera che,
come buone amiche, sembra ci vengano in aiuto per tradurle nella nostra lingua ma,
in realtà, sono false amiche perché ci fanno cadere in trappola. In breve, faux
amis è il termine colloquiale per indicare le parole di una lingua straniera
che hanno un’assonanza nell’ortografia e/o nella pronuncia con la nostra lingua
e che ci inducono a pensare di conoscerne il significato. Sono quelli che ci
fanno scambiare in inglese i genitori per i parenti (parents = genitori,
relatives = parenti), in tedesco la nonna per la suora (Nonne =
suora, Oma = nonna), in francese la cantina per la mensa (cantine
= mensa, cave = cantina), in arabo l’ala per il macchinario (آلة
[pronuncia “ala” = macchinario], جناح [pronuncia “junaḥ” = ala]) e così via.
Le
coppie di faux amis sono più comuni fra le lingue a stretto contatto fra loro e
appartenenti a una stessa famiglia linguistica. Ne sono un esempio il francese
e l’italiano, entrambe lingue romanze derivate dal latino e, quindi, ricche di termini
molto somiglianti ma non sempre corrispondenti nel significato.
Tuttavia,
possiamo trovare faux amis dell’italiano anche dalle lingue germaniche come
l’inglese e il tedesco e persino dall’arabo, nonostante sia una lingua semitica
e pertanto con radici linguistiche completamente diverse. Il tedesco e
l’inglese, perlomeno, hanno in comune con italiano e francese l’appartenenza al
gruppo delle lingue indoeuropee.
Vediamo
insieme qualche coppia di faux amis in queste quattro lingue.
Partiamo
dalla coppia di lingue più facilmente confondibile in ambito lessicale. Se
diciamo “il ristorante è affolé” stiamo dicendo che è ‘impazzito’, ma
noi intendiamo dire che è ‘affollato’, quindi dovremmo usare l’espressione plein
de monde. Dopo essere stati al ristorante abbiamo un appointements
con nostra nonne. Se sentendo questa frase vedete il vostro amico
francese un po’ confuso è perché gli avete appena detto che avete uno ‘stipendio’
con la vostra ‘suora’. ‘L’appuntamento’ italiano è il rendez-vous in
francese e la ‘nonna’ è la grand-mère.
È
interessante vedere come alcuni termini francesi siano entrati a far parte del lessico
italiano, ma in realtà sono termini solo “francesizzati” che non esistono nella
lingua francese oppure che esistono ma con un significato diverso. Pensiamo ad
esempio al ‘caveau’ della banca che in francese, invece, si definisce chambre
forte. Un ‘vestito prémaman’ in francese diventa robe de grossesse
(letteralmente: vestito da gravidanza). In ambito gastronomico, se in Francia
ordiniamo un gâteau non ci arriverà il tipico ‘piatto di patate cotte al
forno’, bensì un dolce. E nemmeno il celebre ‘vitel tonné’ è un termine veramente
francese: in Francia lo chiamano veau froid à la sauce au thon.
Come
se non bastasse, in francese troviamo anche le cosiddette parole omofone, cioè
parole che vengono pronunciate esattamente allo stesso modo ma con ortografia e
significato completamente diversi. Pensiamo, ad esempio, a mer (mare), mère
(madre), maire (sindaco) la cui pronuncia è sempre [mɛr] oppure cou
(collo), coup (colpo), coût (costo) che si pronunciano [ku]. E
allora come possiamo distinguerle? Semplicemente dal contesto e, in alcuni
casi, anche dal genere delle parole. Per esempio, mère è femminile (la
mère), mentre maire è maschile (le maire).
L’inglese,
pur essendo la lingua internazionale e quindi conosciuta da tutto il mondo, è
spesso maltrattata dagli italiani che cadono continuamente nei suoi tranelli
linguistici. L’errore più comune è actually che non significa ‘attualmente’
ma ‘davvero’ o ‘in realtà’. Effettivamente, sono soprattutto gli avverbi
inglesi ad essere confusi in italiano per la loro evidente assonanza. Come
tradurreste in italiano eventually, finally, possibly? ‘Eventualmente’,
‘finalmente’, ‘possibilmente’? Eh no, questi sono errori gravi se pensiamo che
talvolta possono sconvolgere il significato di un’intera frase. Eventually
significa ‘poi’, ‘più avanti’ (‘eventualmente’ si dice possibly). Finally
vuol dire ‘infine’ (‘finalmente’ si dice at last) e possibly
significa ‘forse’, ‘eventualmente’ (‘possibilmente’ si dice if possible).
Se poi pensiamo ai tempi attuali con la pandemia è facile scambiare il verbo recover
con ‘ricoverare’, quando invece ha il significato opposto: ‘guarire’. Abbiamo
poi un altro termine che in italiano ha un significato opposto, ovvero
l’aggettivo terrific che a prima vista tradurremmo con ‘terrificante’.
In realtà significa ‘fantastico’ (‘terrificante’ si dice terrible).
Il
tedesco è spesso definito una lingua dura per i suoi suoni gutturali al
contrario dell’italiano che è invece considerata una lingua dolce e musicale. Eppure,
nonostante questa differenza sostanziale, anche questa coppia di lingue
presenta numerosi faux amis a cui fare attenzione. Immaginiamo di essere in un
bar in Germania e di ordinare un caffè con Latte. Il cameriere rimarrà
un po’ perplesso perché ciò che gli abbiamo chiesto non è del latte, ma ‘un’asticella’.
Il latte in tedesco è Milch. Per restare in tema di bevande, se vogliamo
eine Kalte Milch, non stiamo chiedendo un latte caldo come sembrerebbe
suggerire il termine, ma un ‘latte freddo’. Se vogliamo che il latte sia caldo
dovremmo dire eine Warme Milch. Se al lavoro ci danno una ‘scadenza’, un
‘termine di consegna’ non possiamo dire Termin perché significa ‘appuntamento’.
La traduzione corretta è Frist. Infine, se vogliamo comprare ein
Magazin non stiamo comprando un magazzino ma una ‘rivista’ (il prezzo è ben
diverso!). Il ‘magazzino’ è Lager. Lo stesso vale per l’inglese dove magazine
significa ‘rivista’, mentre il ‘magazzino’ è warehouse. Tanto per
confondere un po’ le idee, magasin in francese, invece, significa
‘negozio’ (‘magazzino’ si dice entrepôt), mentre la ‘rivista’ è la revue.
Per
l’arabo è necessario fare una premessa di come siano entrate in contatto queste
due lingue così apparentemente diverse fra loro. La vicinanza fra le due
culture risale al Medioevo quando gli Arabi conquistarono la Sicilia,
stabilendosi in alcune città meridionali. La loro influenza ebbe risvolti anche
linguistici in vari ambiti, entrando a far parte del lessico italiano con
modifiche di tipo fonetico e morfologico. Quindi, prima di addentrarci nei faux
amis vediamo qualche esempio di somiglianza linguistica. Una delle più comuni è
il termine zafferano che deriva probabilmente dalla parola araba الأصفر (aṣfar
‘giallo’) per il colore della pianta e diventata poi زعفران (za῾farān
‘zafferano’). Il vocabolo è attestato a Genova intorno al 1100 come safrani.
C’è da dire che Genova ebbe contatti diretti con gli Arabi e per questo all’interno
del dialetto troviamo termini di chiara derivazione araba. Pensiamo ad esempio
al genovese maŋ’dilu cioè ‘fazzoletto’ e al suo corrispondente arabo منديل
la cui pronuncia è quasi uguale: mandil.
A
volte, però, la pronuncia di parole arabe ci trae in inganno perché non si
tratta di influenza linguistica come abbiamo visto fin qui ma di semplice somiglianza
fonetica. Ad esempio, se io dico سنة (pronuncia: sana) non sto parlando
di una ‘persona in salute’ (che sarebbe, invece, صحي la cui pronuncia è saḥi),
ma sto dicendo ‘anno’. Allo stesso modo, se in un paese arabo sento dire الثمَّار
(pronuncia: tammar) non mi stanno parlando di un ‘tamarro’ (il termine
gergale italiano per indicare uno ‘zoticone, un cafone’ e che in arabo
definiamo وقح waqḥ), ma
di un ‘venditore di datteri’.
Come
riconoscere i faux amis?
Non
esiste una strategia particolare per stare in guardia dai faux amis. L’unico
modo per evitare di “prendere fischi per fiaschi” è padroneggiare bene una
lingua e, in caso di dubbio, consultare i dizionari e le risorse online affidabili
che ormai sono quasi infinite.
Ora
vediamo più da vicino cosa sono le espressioni idiomatiche. Si tratta di frasi
o locuzioni fisse specifiche di una lingua e che hanno un significato figurato,
pertanto la loro traduzione letterale in un’altra lingua sarebbe priva di
senso. La loro caratteristica è quella di esprimere un unico concetto usando
più termini. Talvolta questi idiomatismi hanno dei corrispondenti in altre
lingue, nel senso che esprimono uno stesso concetto ma in modo diverso, a
seconda della cultura del paese.
Ci
possono essere equivalenze totali quando l’espressione della lingua di partenza
e quella della lingua d’arrivo sono identiche. Ad esempio, il modo di dire
italiano “chi semina vento raccoglie tempesta” (riferito a colui che fa del
male e che per questo riceverà un danno maggiore di quello che ha provocato)
corrisponde perfettamente al francese qui sème le vent récolte la tempête.
Quando
c’è coincidenza sotto l’aspetto del significato ma divergenza nel lessico si
parla di equivalenza parziale. Ad esempio, l’espressione italiana “prendere con
le pinze” (ovvero non prendere una persona troppo sul serio in quello che dice)
ha un equivalente parziale in inglese: take it with a pinch of salt. Al
posto delle nostre pinze gli inglesi usano il ‘pizzico di sale’. In realtà
anche in italiano abbiamo una locuzione simile tratta da una citazione di
Plinio il Vecchio: cum grano salis (letteralmente ‘con un granello di
sale’). È interessante vedere, però, come questa espressione abbia un
significato figurato diverso da quella inglese. Cum grano salis,
infatti, vuol dire ‘agire usando un po’ di buon senso’. Per cui bisogna stare
attenti a non confonderle quando traduciamo!
Infine,
parliamo di equivalenza zero quando un’espressione idiomatica di una lingua non
ha alcuna corrispondenza nell’altra e deve quindi essere tradotta con una
perifrasi. Per esempio, l’espressione tedesca Einen Eiertanz aufführen
(letteralmente: ‘fare la danza delle uova’) non ha alcuna frase idiomatica in
italiano che possa esprimere lo stesso concetto. Tale espressione indica una
persona che vuole evitare un determinato argomento. Pertanto, in italiano
potremmo usare il verbo ‘tergiversare’ per riuscire a rendere l’idea. Allo
stesso modo l’espressione idiomatica araba زواج ليلة تدبيرو عام, che significa
letteralmente ‘il matrimonio di un giorno richiede la preparazione di un anno’,
non trova alcun idiomatismo corrispondente in italiano. Si tratta di un invito
a una lunga riflessione prima di arrivare a prendere una decisione importante.
Il matrimonio, infatti, dura un solo giorno ma è necessario rifletterci bene
prima di fare un passo così grande.
A
proposito di lingua araba, quante volte abbiamo sentito dire “per me questo è
arabo!” per esprimere l’incomprensibilità di qualcosa? Sicuramente migliaia di
volte. L’arabo è di certo una lingua molto complicata per chi non la conosce e
apprenderla non è una passeggiata, ma se ci pensiamo ci sono anche altre lingue
altrettanto difficili. Il concetto di lingua incomprensibile è soggettivo e
varia da cultura a cultura. Per gli arabi, ad esempio, è il cinese ad essere
incomprensibile (هو أنا اتكلم صيني مثلا. che letteralmente significa ‘allora
forse parlo cinese!’). Anche in Francia, oltre all’arabo, l’incomprensibilità si
esprime usando il cinese o l’ebraico (c’est du chinois oppure c’est
de l’hébreu). Per gli inglesi la lingua complessa è il greco (that’s
Greek to me), mentre per i tedeschi è lo spagnolo (Das kommt mir
spanisch vor).
Un’altra
espressione strettamente legata alla cultura di ogni paese è “fumare come un
turco”. Perché gli italiani associano al fumo proprio i turchi e non altri
popoli? L’origine del modo di dire è incerta, ma pare che nel XVI secolo in
Turchia regnasse un Pascià che vietò il consumo di caffè e tabacco e chiunque
andasse contro questa legge veniva punito con la pena capitale. Una volta morto
il Pascià, i turchi ricominciarono a bere caffè e fumare, a volte anche in modo
eccessivo. Da qui il detto “fumare come un turco” per designare un accanito
fumatore. Non tutti i paesi, però, fanno quest’associazione. I francesi,
infatti, collegano l’idea del fumo eccessivo ai pompieri (fumer comme un
pompier) perché all’epoca in cui i pompieri non avevano ancora le tute
ignifughe, indossavano delle divise che prima venivano bagnate. Con l’alta
temperatura l’acqua diventava vapore e sembrava che dalla loro tenuta uscisse
del fumo. Gli inglesi e i tedeschi, invece, pensano al fumo che esce dalle
ciminiere e dicono to smoke like a chimney e Rauchen wie ein Schlot
(anche in italiano si dice “fumare come una ciminiera” ma è meno usato).
Troviamo,
poi, modi di dire esistenti nelle quattro lingue che possono essere
lessicalmente identici o diversi ma il cui significato resta invariato. Ne è un
esempio il detto “è inutile piangere sul latte versato”, ovvero non serve a
nulla disperarsi dopo aver commesso errori a cui non c’è rimedio. L’inglese usa
la stessa metafora: don’t cry over spilt milk, così come l’arabo لا تبكي
على اللبن المسكوب e il tedesco Weine nicht um die vergossene Milch. L’origine
di questa espressione deriva dalla cultura contadina dove il latte era
considerato prezioso. Quando lo si scaldava sul fuoco bisognava stare attenti
che non fuoriuscisse dal tegame, altrimenti veniva perso e sprecato. I francesi,
invece, usano le carote, dicendo les carottes sont cuites (‘le carote
sono cotte’) probabilmente perché nell’antichità le carote venivano usate come
contorno per la carne (quindi un animale morto) e alla morte non c’è rimedio. Oppure
usano anche un’espressione più esplicita: on ne récrit pas l’histoire
(‘non si può riscrivere la storia’).
Espressioni
idiomatiche e intraducibilità
Infine,
ci sono espressioni idiomatiche intraducibili da una lingua all’altra poiché
sono legate esclusivamente alla cultura di un paese, presuppongono una
conoscenza condivisa di un qualcosa, un qualcuno o un evento sottinteso che
solo i nativi possono comprendere. Con un esempio sarà tutto più chiaro. Se
dico “sei nato/a al Colosseo?” un italiano molto probabilmente sa a cosa alludo
con questa frase: sto rimproverando qualcuno per non aver chiuso una porta. Il
Colosseo, infatti, è un anfiteatro aperto e, in quanto tale, privo di porte. Uno
straniero, a meno che non abbia vissuto in Italia per qualche tempo, non può
immaginare in alcun modo il significato che si cela dietro a questo modo di
dire.
Prendiamo
ora il francese con l’espressione ça fait la Rue Michel. È chiaramente
il nome di una via, ma ciò che è sottinteso e che ci permette di capire il
significato del modo di dire è quello che è successo in questa via. L’espressione
è nata nel XIX secolo quando a Parigi esisteva una via denominata Rue
Michel-le-Comte adibita a parcheggio per i taxi. I tassisti, una volta
parcheggiato, facevano il conto di quanto avevano guadagnato nella giornata per
controllare che fosse tutto giusto. Il gioco di parole tra il nome della via
dedicata a un Conte (Michel-le-Comte) e il verbo francese contare (compter)
che si pronunciano allo stesso modo ha dato origine all’espressione che
significa ‘andare bene così’, ‘essere giusto’ nel senso di ‘essere sufficiente’,
‘bastare’.
A
Dear John letter: questa è l’espressione usata dagli
inglesi per indicare la rottura di un rapporto di qualsiasi natura, anche se
principalmente sentimentale. La sua origine si attesta intorno alla Seconda
Guerra Mondiale quando molti uomini vivevano per anni lontano dalle proprie
mogli, scambiandosi lettere. L’utilizzo del termine più formale dear
all’inizio della lettera invece di darling faceva pensare a cattive
notizie. Perché John? Perché a quell’epoca John era il nome maschile più
diffuso e la corrispettiva espressione per indicare un uomo che scrive a una
donna per rompere una relazione è Dear Jane letter. È interessante
notare come molte espressioni idiomatiche inglesi contengano nomi propri di
persone (Tom, Dick, Harry, Peter, Paul, Steven giusto per citarne alcuni).
Passiamo
alla Germania con un’espressione che in italiano potrebbe avere, in realtà, una
sorta di equivalente restando però comunque esclusivamente tipica della cultura
tedesca: Der Sandmann kommt! che letteralmente significa ‘arriva l’omino
di sabbia’. Questo omino deriva da una figura letteraria chiamata “Sandman” o “Sabbiolino”
in italiano il cui compito è quello di spargere della sabbia sugli occhi dei
bambini per farli addormentare. Nonostante questa figura non sia tipica solo
della Germania, l’espressione Der Sandmann kommt! non risulta però
comprensibile alle altre culture. Se, però, vi dico: “Tutti a letto dopo
Carosello!” vi è più chiaro? Ecco qui la sorta di equivalente italiano di cui
vi accennavo prima. Der Sandmann in Germania era un programma televisivo
serale per bambini dove il protagonista, alla fine di ogni puntata, spargeva un
po’ di sabbia e i bimbi andavano a dormire. Il famoso Carosello italiano aveva
la stessa finalità, cioè far andare i bambini a letto, perché dopo quello le
trasmissioni televisive si concludevano. Tuttavia, se ci si trova di fronte a
una traduzione dal tedesco all’italiano bisogna fare attenzione a scegliere il
Carosello come equivalente perché, in quanto elemento strettamente culturale, Sandmann
non è sostituibile se si parla di Germania.
“اللى عايز يربى جمل, يعلى باب داره”
Concludiamo
con l’arabo e la tipica immagine del cammello a cui viene associato: اللى عايز يربى
جمل, يعلى باب داره. che letteralmente si traduce con ‘chi vuole adottare un
cammello deve innalzare la propria porta’. L’immagine che ci suscita questo
modo di dire è quella di un grosso cammello con le sue due gobbe che, essendo
più alte di una porta di altezza media, non riesce ad entrare in casa. Un’immagine
strana e anche un po’ divertente. Ma cosa vuol dire? Se ci pensiamo bene,
comprare un cammello e non riuscire poi a farlo passare da una porta significa
trovarsi in difficoltà, non sapere come fare. L’invito di questo modo di dire,
quindi, è quello di non imbarcarsi in qualcosa che è più grande di noi, ma
pensare bene a ciò che facciamo per non trovarci in difficoltà e deludere le
nostre aspettative.
Spero
che questo blogpost vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosito sull’argomento.
In tal caso, vi invito a seguire il nostro corso sulla traduzione delle frasi
idiomatiche che potete trovare qui: https://www.translastars.it/course/traduzione-frase-idiomatiche. Inoltre, come avete visto, la cultura di ogni paese
influisce moltissimo sulla traduzione, quindi vi consiglio anche i nostri corsi
di localizzazione:
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Last but not least, se sei una persona creativa e ti piacerebbe saperne
di più su come si traducono pubblicità e slogan, dai un’occhiata al nostro
corso di transcreazione dove imparerai quanto sia importante tradurre la
cultura di ogni paese e non singole parole: https://www.translastars.it/course/corso-transcreazione
Infine, non dimenticatevi di iscrivervi qui alla nostra newsletter per
tenervi sempre aggiornati sui nostri corsi e webinar: https://www.translastars.it/promozioni
Autrice: Zahra Jarib
Indice dei contenuti:
- Faux amis
- Idiomatismi
- Lingue a confronto
- Italiano, inglese, francese, tedesco e arabo
- Intraducibilità
Partiamo
dalle trappole della lingua per eccellenza, i cosiddetti faux amis o false
friends, detti anche in italiano falsi amici. Cosa sono?
Come
dice il termine stesso, i faux amis sono parole di una lingua straniera che,
come buone amiche, sembra ci vengano in aiuto per tradurle nella nostra lingua ma,
in realtà, sono false amiche perché ci fanno cadere in trappola. In breve, faux
amis è il termine colloquiale per indicare le parole di una lingua straniera
che hanno un’assonanza nell’ortografia e/o nella pronuncia con la nostra lingua
e che ci inducono a pensare di conoscerne il significato. Sono quelli che ci
fanno scambiare in inglese i genitori per i parenti (parents = genitori,
relatives = parenti), in tedesco la nonna per la suora (Nonne =
suora, Oma = nonna), in francese la cantina per la mensa (cantine
= mensa, cave = cantina), in arabo l’ala per il macchinario (آلة
[pronuncia “ala” = macchinario], جناح [pronuncia “junaḥ” = ala]) e così via.
Le
coppie di faux amis sono più comuni fra le lingue a stretto contatto fra loro e
appartenenti a una stessa famiglia linguistica. Ne sono un esempio il francese
e l’italiano, entrambe lingue romanze derivate dal latino e, quindi, ricche di termini
molto somiglianti ma non sempre corrispondenti nel significato.
Tuttavia,
possiamo trovare faux amis dell’italiano anche dalle lingue germaniche come
l’inglese e il tedesco e persino dall’arabo, nonostante sia una lingua semitica
e pertanto con radici linguistiche completamente diverse. Il tedesco e
l’inglese, perlomeno, hanno in comune con italiano e francese l’appartenenza al
gruppo delle lingue indoeuropee.
Vediamo insieme qualche coppia di faux amis in queste quattro lingue.
Partiamo
dalla coppia di lingue più facilmente confondibile in ambito lessicale. Se
diciamo “il ristorante è affolé” stiamo dicendo che è ‘impazzito’, ma
noi intendiamo dire che è ‘affollato’, quindi dovremmo usare l’espressione plein
de monde. Dopo essere stati al ristorante abbiamo un appointements
con nostra nonne. Se sentendo questa frase vedete il vostro amico
francese un po’ confuso è perché gli avete appena detto che avete uno ‘stipendio’
con la vostra ‘suora’. ‘L’appuntamento’ italiano è il rendez-vous in
francese e la ‘nonna’ è la grand-mère.
È
interessante vedere come alcuni termini francesi siano entrati a far parte del lessico
italiano, ma in realtà sono termini solo “francesizzati” che non esistono nella
lingua francese oppure che esistono ma con un significato diverso. Pensiamo ad
esempio al ‘caveau’ della banca che in francese, invece, si definisce chambre
forte. Un ‘vestito prémaman’ in francese diventa robe de grossesse
(letteralmente: vestito da gravidanza). In ambito gastronomico, se in Francia
ordiniamo un gâteau non ci arriverà il tipico ‘piatto di patate cotte al
forno’, bensì un dolce. E nemmeno il celebre ‘vitel tonné’ è un termine veramente
francese: in Francia lo chiamano veau froid à la sauce au thon.
Come
se non bastasse, in francese troviamo anche le cosiddette parole omofone, cioè
parole che vengono pronunciate esattamente allo stesso modo ma con ortografia e
significato completamente diversi. Pensiamo, ad esempio, a mer (mare), mère
(madre), maire (sindaco) la cui pronuncia è sempre [mɛr] oppure cou
(collo), coup (colpo), coût (costo) che si pronunciano [ku]. E
allora come possiamo distinguerle? Semplicemente dal contesto e, in alcuni
casi, anche dal genere delle parole. Per esempio, mère è femminile (la
mère), mentre maire è maschile (le maire).
L’inglese,
pur essendo la lingua internazionale e quindi conosciuta da tutto il mondo, è
spesso maltrattata dagli italiani che cadono continuamente nei suoi tranelli
linguistici. L’errore più comune è actually che non significa ‘attualmente’
ma ‘davvero’ o ‘in realtà’. Effettivamente, sono soprattutto gli avverbi
inglesi ad essere confusi in italiano per la loro evidente assonanza. Come
tradurreste in italiano eventually, finally, possibly? ‘Eventualmente’,
‘finalmente’, ‘possibilmente’? Eh no, questi sono errori gravi se pensiamo che
talvolta possono sconvolgere il significato di un’intera frase. Eventually
significa ‘poi’, ‘più avanti’ (‘eventualmente’ si dice possibly). Finally
vuol dire ‘infine’ (‘finalmente’ si dice at last) e possibly
significa ‘forse’, ‘eventualmente’ (‘possibilmente’ si dice if possible).
Se poi pensiamo ai tempi attuali con la pandemia è facile scambiare il verbo recover
con ‘ricoverare’, quando invece ha il significato opposto: ‘guarire’. Abbiamo
poi un altro termine che in italiano ha un significato opposto, ovvero
l’aggettivo terrific che a prima vista tradurremmo con ‘terrificante’.
In realtà significa ‘fantastico’ (‘terrificante’ si dice terrible).
Il
tedesco è spesso definito una lingua dura per i suoi suoni gutturali al
contrario dell’italiano che è invece considerata una lingua dolce e musicale. Eppure,
nonostante questa differenza sostanziale, anche questa coppia di lingue
presenta numerosi faux amis a cui fare attenzione. Immaginiamo di essere in un
bar in Germania e di ordinare un caffè con Latte. Il cameriere rimarrà
un po’ perplesso perché ciò che gli abbiamo chiesto non è del latte, ma ‘un’asticella’.
Il latte in tedesco è Milch. Per restare in tema di bevande, se vogliamo
eine Kalte Milch, non stiamo chiedendo un latte caldo come sembrerebbe
suggerire il termine, ma un ‘latte freddo’. Se vogliamo che il latte sia caldo
dovremmo dire eine Warme Milch. Se al lavoro ci danno una ‘scadenza’, un
‘termine di consegna’ non possiamo dire Termin perché significa ‘appuntamento’.
La traduzione corretta è Frist. Infine, se vogliamo comprare ein
Magazin non stiamo comprando un magazzino ma una ‘rivista’ (il prezzo è ben
diverso!). Il ‘magazzino’ è Lager. Lo stesso vale per l’inglese dove magazine
significa ‘rivista’, mentre il ‘magazzino’ è warehouse. Tanto per
confondere un po’ le idee, magasin in francese, invece, significa
‘negozio’ (‘magazzino’ si dice entrepôt), mentre la ‘rivista’ è la revue.
Per
l’arabo è necessario fare una premessa di come siano entrate in contatto queste
due lingue così apparentemente diverse fra loro. La vicinanza fra le due
culture risale al Medioevo quando gli Arabi conquistarono la Sicilia,
stabilendosi in alcune città meridionali. La loro influenza ebbe risvolti anche
linguistici in vari ambiti, entrando a far parte del lessico italiano con
modifiche di tipo fonetico e morfologico. Quindi, prima di addentrarci nei faux
amis vediamo qualche esempio di somiglianza linguistica. Una delle più comuni è
il termine zafferano che deriva probabilmente dalla parola araba الأصفر (aṣfar
‘giallo’) per il colore della pianta e diventata poi زعفران (za῾farān
‘zafferano’). Il vocabolo è attestato a Genova intorno al 1100 come safrani.
C’è da dire che Genova ebbe contatti diretti con gli Arabi e per questo all’interno
del dialetto troviamo termini di chiara derivazione araba. Pensiamo ad esempio
al genovese maŋ’dilu cioè ‘fazzoletto’ e al suo corrispondente arabo منديل
la cui pronuncia è quasi uguale: mandil.
A
volte, però, la pronuncia di parole arabe ci trae in inganno perché non si
tratta di influenza linguistica come abbiamo visto fin qui ma di semplice somiglianza
fonetica. Ad esempio, se io dico سنة (pronuncia: sana) non sto parlando
di una ‘persona in salute’ (che sarebbe, invece, صحي la cui pronuncia è saḥi),
ma sto dicendo ‘anno’. Allo stesso modo, se in un paese arabo sento dire الثمَّار
(pronuncia: tammar) non mi stanno parlando di un ‘tamarro’ (il termine
gergale italiano per indicare uno ‘zoticone, un cafone’ e che in arabo
definiamo وقح waqḥ), ma
di un ‘venditore di datteri’.
Come
riconoscere i faux amis?
Non
esiste una strategia particolare per stare in guardia dai faux amis. L’unico
modo per evitare di “prendere fischi per fiaschi” è padroneggiare bene una
lingua e, in caso di dubbio, consultare i dizionari e le risorse online affidabili
che ormai sono quasi infinite.
Ora
vediamo più da vicino cosa sono le espressioni idiomatiche. Si tratta di frasi
o locuzioni fisse specifiche di una lingua e che hanno un significato figurato,
pertanto la loro traduzione letterale in un’altra lingua sarebbe priva di
senso. La loro caratteristica è quella di esprimere un unico concetto usando
più termini. Talvolta questi idiomatismi hanno dei corrispondenti in altre
lingue, nel senso che esprimono uno stesso concetto ma in modo diverso, a
seconda della cultura del paese.
Ci
possono essere equivalenze totali quando l’espressione della lingua di partenza
e quella della lingua d’arrivo sono identiche. Ad esempio, il modo di dire
italiano “chi semina vento raccoglie tempesta” (riferito a colui che fa del
male e che per questo riceverà un danno maggiore di quello che ha provocato)
corrisponde perfettamente al francese qui sème le vent récolte la tempête.
Quando
c’è coincidenza sotto l’aspetto del significato ma divergenza nel lessico si
parla di equivalenza parziale. Ad esempio, l’espressione italiana “prendere con
le pinze” (ovvero non prendere una persona troppo sul serio in quello che dice)
ha un equivalente parziale in inglese: take it with a pinch of salt. Al
posto delle nostre pinze gli inglesi usano il ‘pizzico di sale’. In realtà
anche in italiano abbiamo una locuzione simile tratta da una citazione di
Plinio il Vecchio: cum grano salis (letteralmente ‘con un granello di
sale’). È interessante vedere, però, come questa espressione abbia un
significato figurato diverso da quella inglese. Cum grano salis,
infatti, vuol dire ‘agire usando un po’ di buon senso’. Per cui bisogna stare
attenti a non confonderle quando traduciamo!
Infine,
parliamo di equivalenza zero quando un’espressione idiomatica di una lingua non
ha alcuna corrispondenza nell’altra e deve quindi essere tradotta con una
perifrasi. Per esempio, l’espressione tedesca Einen Eiertanz aufführen
(letteralmente: ‘fare la danza delle uova’) non ha alcuna frase idiomatica in
italiano che possa esprimere lo stesso concetto. Tale espressione indica una
persona che vuole evitare un determinato argomento. Pertanto, in italiano
potremmo usare il verbo ‘tergiversare’ per riuscire a rendere l’idea. Allo
stesso modo l’espressione idiomatica araba زواج ليلة تدبيرو عام, che significa
letteralmente ‘il matrimonio di un giorno richiede la preparazione di un anno’,
non trova alcun idiomatismo corrispondente in italiano. Si tratta di un invito
a una lunga riflessione prima di arrivare a prendere una decisione importante.
Il matrimonio, infatti, dura un solo giorno ma è necessario rifletterci bene
prima di fare un passo così grande.
A
proposito di lingua araba, quante volte abbiamo sentito dire “per me questo è
arabo!” per esprimere l’incomprensibilità di qualcosa? Sicuramente migliaia di
volte. L’arabo è di certo una lingua molto complicata per chi non la conosce e
apprenderla non è una passeggiata, ma se ci pensiamo ci sono anche altre lingue
altrettanto difficili. Il concetto di lingua incomprensibile è soggettivo e
varia da cultura a cultura. Per gli arabi, ad esempio, è il cinese ad essere
incomprensibile (هو أنا اتكلم صيني مثلا. che letteralmente significa ‘allora
forse parlo cinese!’). Anche in Francia, oltre all’arabo, l’incomprensibilità si
esprime usando il cinese o l’ebraico (c’est du chinois oppure c’est
de l’hébreu). Per gli inglesi la lingua complessa è il greco (that’s
Greek to me), mentre per i tedeschi è lo spagnolo (Das kommt mir
spanisch vor).
Un’altra
espressione strettamente legata alla cultura di ogni paese è “fumare come un
turco”. Perché gli italiani associano al fumo proprio i turchi e non altri
popoli? L’origine del modo di dire è incerta, ma pare che nel XVI secolo in
Turchia regnasse un Pascià che vietò il consumo di caffè e tabacco e chiunque
andasse contro questa legge veniva punito con la pena capitale. Una volta morto
il Pascià, i turchi ricominciarono a bere caffè e fumare, a volte anche in modo
eccessivo. Da qui il detto “fumare come un turco” per designare un accanito
fumatore. Non tutti i paesi, però, fanno quest’associazione. I francesi,
infatti, collegano l’idea del fumo eccessivo ai pompieri (fumer comme un
pompier) perché all’epoca in cui i pompieri non avevano ancora le tute
ignifughe, indossavano delle divise che prima venivano bagnate. Con l’alta
temperatura l’acqua diventava vapore e sembrava che dalla loro tenuta uscisse
del fumo. Gli inglesi e i tedeschi, invece, pensano al fumo che esce dalle
ciminiere e dicono to smoke like a chimney e Rauchen wie ein Schlot
(anche in italiano si dice “fumare come una ciminiera” ma è meno usato).
Troviamo,
poi, modi di dire esistenti nelle quattro lingue che possono essere
lessicalmente identici o diversi ma il cui significato resta invariato. Ne è un
esempio il detto “è inutile piangere sul latte versato”, ovvero non serve a
nulla disperarsi dopo aver commesso errori a cui non c’è rimedio. L’inglese usa
la stessa metafora: don’t cry over spilt milk, così come l’arabo لا تبكي
على اللبن المسكوب e il tedesco Weine nicht um die vergossene Milch. L’origine
di questa espressione deriva dalla cultura contadina dove il latte era
considerato prezioso. Quando lo si scaldava sul fuoco bisognava stare attenti
che non fuoriuscisse dal tegame, altrimenti veniva perso e sprecato. I francesi,
invece, usano le carote, dicendo les carottes sont cuites (‘le carote
sono cotte’) probabilmente perché nell’antichità le carote venivano usate come
contorno per la carne (quindi un animale morto) e alla morte non c’è rimedio. Oppure
usano anche un’espressione più esplicita: on ne récrit pas l’histoire
(‘non si può riscrivere la storia’).
Espressioni idiomatiche e intraducibilità
Infine, ci sono espressioni idiomatiche intraducibili da una lingua all’altra poiché sono legate esclusivamente alla cultura di un paese, presuppongono una conoscenza condivisa di un qualcosa, un qualcuno o un evento sottinteso che solo i nativi possono comprendere. Con un esempio sarà tutto più chiaro. Se dico “sei nato/a al Colosseo?” un italiano molto probabilmente sa a cosa alludo con questa frase: sto rimproverando qualcuno per non aver chiuso una porta. Il Colosseo, infatti, è un anfiteatro aperto e, in quanto tale, privo di porte. Uno straniero, a meno che non abbia vissuto in Italia per qualche tempo, non può immaginare in alcun modo il significato che si cela dietro a questo modo di dire.
Prendiamo ora il francese con l’espressione ça fait la Rue Michel. È chiaramente il nome di una via, ma ciò che è sottinteso e che ci permette di capire il significato del modo di dire è quello che è successo in questa via. L’espressione è nata nel XIX secolo quando a Parigi esisteva una via denominata Rue Michel-le-Comte adibita a parcheggio per i taxi. I tassisti, una volta parcheggiato, facevano il conto di quanto avevano guadagnato nella giornata per controllare che fosse tutto giusto. Il gioco di parole tra il nome della via dedicata a un Conte (Michel-le-Comte) e il verbo francese contare (compter) che si pronunciano allo stesso modo ha dato origine all’espressione che significa ‘andare bene così’, ‘essere giusto’ nel senso di ‘essere sufficiente’, ‘bastare’.
A Dear John letter: questa è l’espressione usata dagli inglesi per indicare la rottura di un rapporto di qualsiasi natura, anche se principalmente sentimentale. La sua origine si attesta intorno alla Seconda Guerra Mondiale quando molti uomini vivevano per anni lontano dalle proprie mogli, scambiandosi lettere. L’utilizzo del termine più formale dear all’inizio della lettera invece di darling faceva pensare a cattive notizie. Perché John? Perché a quell’epoca John era il nome maschile più diffuso e la corrispettiva espressione per indicare un uomo che scrive a una donna per rompere una relazione è Dear Jane letter. È interessante notare come molte espressioni idiomatiche inglesi contengano nomi propri di persone (Tom, Dick, Harry, Peter, Paul, Steven giusto per citarne alcuni).
Passiamo alla Germania con un’espressione che in italiano potrebbe avere, in realtà, una sorta di equivalente restando però comunque esclusivamente tipica della cultura tedesca: Der Sandmann kommt! che letteralmente significa ‘arriva l’omino di sabbia’. Questo omino deriva da una figura letteraria chiamata “Sandman” o “Sabbiolino” in italiano il cui compito è quello di spargere della sabbia sugli occhi dei bambini per farli addormentare. Nonostante questa figura non sia tipica solo della Germania, l’espressione Der Sandmann kommt! non risulta però comprensibile alle altre culture. Se, però, vi dico: “Tutti a letto dopo Carosello!” vi è più chiaro? Ecco qui la sorta di equivalente italiano di cui vi accennavo prima. Der Sandmann in Germania era un programma televisivo serale per bambini dove il protagonista, alla fine di ogni puntata, spargeva un po’ di sabbia e i bimbi andavano a dormire. Il famoso Carosello italiano aveva la stessa finalità, cioè far andare i bambini a letto, perché dopo quello le trasmissioni televisive si concludevano. Tuttavia, se ci si trova di fronte a una traduzione dal tedesco all’italiano bisogna fare attenzione a scegliere il Carosello come equivalente perché, in quanto elemento strettamente culturale, Sandmann non è sostituibile se si parla di Germania.
“اللى عايز يربى جمل, يعلى باب داره”
Concludiamo
con l’arabo e la tipica immagine del cammello a cui viene associato: اللى عايز يربى
جمل, يعلى باب داره. che letteralmente si traduce con ‘chi vuole adottare un
cammello deve innalzare la propria porta’. L’immagine che ci suscita questo
modo di dire è quella di un grosso cammello con le sue due gobbe che, essendo
più alte di una porta di altezza media, non riesce ad entrare in casa. Un’immagine
strana e anche un po’ divertente. Ma cosa vuol dire? Se ci pensiamo bene,
comprare un cammello e non riuscire poi a farlo passare da una porta significa
trovarsi in difficoltà, non sapere come fare. L’invito di questo modo di dire,
quindi, è quello di non imbarcarsi in qualcosa che è più grande di noi, ma
pensare bene a ciò che facciamo per non trovarci in difficoltà e deludere le
nostre aspettative.
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